venerdì 1 dicembre 2017

Nella mia classe ho una compagna che mi prende in giro

salve,sono una ragazzina di prima media,nella mia classe ho una compagna che mi prende in giro.ho già parlato di questo problema ai genitori e anche alle insegnanti.i miei genitori dicono che devo riferirlo alle profe. e così ho fatto ma quando le profe. le hanno dato la nota e le hanno richiamato i genitori(che tra l'altro hanno detto che non succederà più),continua a fare girare le voci che io non sono altro che una ragazza che odia tutti e fa altre battute su di me.come potrei fare dott.Marco?

E.M.


>Cara E.M.,

la derisione è un’arma terribile per isolare qualcuno solo se la persona derisa sta al gioco dell’aggressore, cioè se lei stessa in qualche modo crede alle calunnie propalate. Tu hai fatto quel che era necessario: hai parlato con i tuoi genitori e con i professori. Ora tocca a te. Sei difesa dagli adulti, non lasciarti coinvolgere dalle dicerie della tua compagna. Un atteggiamento di distacco è sufficiente a farle smettere da sole, perché chi non vede colpita la propria vittima perde il gusto del gioco di derisione.
Un saluto

Marco Focchi

venerdì 24 novembre 2017

Ho un problema con un mio compagno di classe e con mia madre

Salve! Ho 14 anni e ho un problema con un mio compagno di classe e con mia madre.Per quanto riguarda il  primo succede che ogni volta che parlo con un mio compagno di classe lui, si"diverte" a balzare fuori e dire al mio compagno frasi del tipo:"Cosa parli a fare con sto qua non capisci che è un co**ne che sta sul ca**o a tutto il mondo. oppure "Non parlate con D.G e un min**ione  di mer*da.Quest'ultima frase è stata scritta sul gruppo di whatsapp della classe.Per quanto riguarda il secondo è che mia mamma continua a insultarmi dicendo che è "anormale"che io preferisco stare da solo anzichè con gli altri, d'altra parte mia mamma appena sbaglio inizia a togliermi il computer e il telefono.Io a queste situazioni vado di matto e inizio a picchiare pugni al muro oppure a graffiarmi.Un saluto e grazie spero che mi aiuterà al più presto


>Caro S.,

la tua è effettivamente una situazione difficile. Credo che dovresti parlare con degli adulti fidati. Nel caso del compagno di classe con qualche professore con cui hai maggiore confidenza. Per quanto riguarda tua madre che posizione prende tuo padre? Credo dovresti rivolgerti a lui e cercare in lui protezione. Spero tu possa uscire presto da questa situazione con l’aiuto di persone nelle quali riponi fiducia.
Un saluto cordiale

Marco Focchi




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giovedì 23 novembre 2017

Fino a che punto accogliere accogliere accogliere?



Dirigo una scuola dell’infanzia in Sicilia da ormai 30 anni. Una scuola di successo. Nota a Messina per la sua attenzione ai molteplici linguaggi del bambino, alla singolarità di ognuno, alla appartenenza al gruppo. Orto, teatro, arte, yoga...Ho una formazione Lacaniana e siamo molto attenti alle problematiche di ognuno curando con attenzione il rapporto con i genitori. Questo ha favorito sicuramente il fatto che molti bambini con gravi problematiche, diagnosi di ogni genere... casi gravi che nonostante il buon rapporto numerico e la bellezza degli spazi, la cura, l’attenzione e la dedizione ci espongono a difficoltà di ogni genere. Un sentimento di impotenza ci assale da qualche tempo, di senza speranza per questi bambini ma anche di compassione per quelli che sono penalizzati in varie forme  in nome dell’integrazione da noi stessi professata.
Inoltre anche quando questi bambini raggiungono l’età scolare, sta diventando una consuetudine che, da parte dei genitori, sostenuti dai loro neuropsichiatri e terapisti vari, ci chiedono di prolungare il tempo dell’asilo presso di noi. Ma fino a che punto è giusto tenere dentro un gruppo un numero di bambini che sembrano usciti da qualcuno volò sul nido del cuculo? Insegnanti esasperati seppure molto disponibili, estenuati da grida, morsi, cacche spalmate ovunque e così via...
Fino a che punto accogliere accogliere accogliere? Fino a che punto di fronte ad una violenza inaudita di un bambino di 4 anno che spinge, morde, urla bisogna tenerlo nel gruppo a tutti i costi?
Siamo esasperati.
Grazie di cuore.

R.


>Gentile R.,

vorrei avere una risposta definitiva per il problema che lei pone ma, come lei stessa si rende conto con la sua esperienza, non c’è una misura netta in queste situazioni. Lei ha una formazione lacaniana, mi dice, quindi sicuramente rifugge dalle soluzioni semplicistiche che in molti casi vengono proposte e che, anche se impraticabili, godono del prestigio sociale proprio grazie al fatto che sembrano scientifiche, il che vuol dire: risolutive. Il fatto è che non esiste una scienza dell’integrazione, e ci sono molti campi dell’esistenza umana in cui il metodo scientifico – che tanto ci ha allargato i nostri orizzonti quando si applica agli oggetti – non ha campo di applicazione. La ricerca di metodi evidence based è spesso solo un tentativo di uscire dallo smarrimento, di invocare un “metodo forte” (che riecheggia molto “l’uomo forte”). Mi capita a volte, per esempio con gli adolescenti in difficoltà scolastica, quando il lavoro analitico ha tempi di stagnazione, prende strade più lunghe o tortuose, che i genitori mi dicano: “È forse ora il momento di passare a metodi più decisivi, di passare a dei farmaci”. Il fatto è che non c’è una pillola che farà imparare la lezione al figlio.
Capisco bene quel che lei mi dice quando mi parla di insegnanti esasperati da grida, intemperanze, crisi pantoclastiche. Ho conosciuto bene queste situazioni nella scuola elementare in cui per molti anni ha fatto consulenza. Sono sempre riuscito a evitare il “metodo forte” che veniva in quelle occasioni invocato, e il tempo e la pazienza mi hanno sempre dato ragione.
La sua domanda è molto seria, e la sola risposta seria è che l'unica vera arma nelle nostre mani è la pazienza contro l’impazienza – giustificata certo, ma controproducente – dei genitori e a volte degli insegnanti, la pazienza di seguire i labirinti del simbolico, di non cedere alle politiche segregative, di non misurarsi a partire dal metro di un’onnipotenza che è diventato lo standard in un’epoca dominata dalla tecnologia, ma che diventa fonte di frustrazione di fronte ai problemi dell’umano.
Un saluto cordiale

dott. Marco Focchi



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lunedì 20 novembre 2017

Una compagna mi prende in giro e mi fa i dispetti

ciao,sono una studentessa delle medie, in classe mi trovo bene ma una compagna mi prende in giro e mi fa i dispetti.ormai non la sopporto più come posso comportarmi con lei?

ZW


>Cara ZW,

mi domando innanzi tutto se tu ne abbia parlato con i tuoi genitori, e abbia fatto loro presente la tua situazione di disagio. Non ci sono infatti formule preformate per difendersi dai compagni che prendono in giro. Si può stare al gioco e replicare sullo stesso tono rovesciando la situazione sull’autore della derisione, cosa che in genere lo scoraggia, oppure lo si può ignorare, cosa che di solito lo stanca. Finché la derisione è nel gioco e non sconfina nel bullismo o nella violenza è facile difendersene mostrando più spirito di chi crede di averne a nostre spese. Se non ritieni di avere abbastanza spirito, lascia semplicemente che le sue parole cadano nel vuoto. Ma se questa situazione ti fa soffrire e non riesci a difendertene ci possono essere problemi più profondi di cui è utile che i tuoi genitori siano messi al corrente.

Un saluto

Marco Focchi

lunedì 30 ottobre 2017

Davamo per scontato che anche nostro figlio ereditasse questa nostra caratteristica

Buongiorno Dottore,
io e mio marito ci chiediamo cosa abbiamo sbagliato nell'educazione di nostro figlio, che ora ha 13 anni, il problema riguarda il fatto che non ha alcun interesse per lo studio e addirittura dice che non vuole fare le superiori. Noi ci troviamo nella situazione di doverlo obbligare a studiare, anche se mi rendo conto che senza un autentico desiderio di farlo sarà un percorso molto difficile. Ci sembra molto strano che stia andando in questo modo, perché sia io che mio marito siamo sempre state persone curiose e con un insaziabile desiderio di sapere e di conoscere. Siamo entrambi laureati. Probabilmente davamo per scontato che anche nostro figlio ereditasse questa nostra caratteristica. Invece pare proprio di no. Con questo non voglio dire che io, per esempio, avessi sempre voglia di andare a scuola e di studiare, ma so per certo che dentro me aspiravo ad avere una buona educazione ed avanzare il più possibile negli studi, anche sapendo che mi sarebbe costata della fatica. Chiaramente forzare qualcosa e sperare che sia "autentico" è un paradosso, per cui non sappiamo proprio come muoverci. Che consiglio ci può dare? Ci sarebbe veramente molto utile.

Un cordiale saluto e grazie mille,
B.S.


>Gentile signora,

perché un consiglio la possa orientare in modo sensato ci sono molte domande da porre: com’è l’atmosfera in casa? Come sono i rapporti tra lei e suo marito? Come sono i rapporti tra voi e vostro figlio? Avete cercato di interessare vostro figlio alle materie che vi appassionano? Che tipo di dialogo avete stabilito con lui? La curiosità, il desiderio di sapere, la vocazione allo studio non sono una qualità ereditaria, che si trasmetta per via genetica, ma sono frutto di un tessuto relazionale che può essere creato oppure no. Se come mi dice, avete dato per scontato che vostro figlio ereditasse le vostre caratteristiche, forse avete posto meno attenzione al lavoro necessario a coltivare determinate inclinazioni in vostro figlio, nella convinzione che queste sarebbero maturate spontaneamente. Se questo è il caso, probabilmente non è ancora troppo tardi, e un’attenzione in questo senso potrebbe favorire la nascita in lui di quella curiosità di cui lamentate l’assenza.

Un saluto cordiale,
dott. Marco Focchi



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lunedì 8 maggio 2017

Passa molto, moltissimo tempo al computer

Buongiorno dottore, nostro figlio di 19 anni ha delle difficoltà a stare con le persone. Passa molto, moltissimo tempo al computer e spesso lo troviamo davanti allo schermo anche in piena notte. Ci sembra che abbia pochi amici, con noi non vuole parlare si limita a dire che è normale che i giovani di oggi passino tanto tempo al computer e che la cosa gli è utile per imparare molte cose. Ma a noi sembra non abbia amici (o sono tutti virtuali?) e non riusciamo ad entrare nel suo mondo. Appena proviamo a fargli qualche domanda reagisce aggressivamente e sembra che l'unico modo per mantenere un qualche equilibrio in famiglia sia di concedergli di stare al computer. A volte mangia poco, ma io spesso mi accorgo che mangia delle cose dal frigo di notte. Non sappiamo cosa fare, abbiamo paura che vietandogli il computer possa dare di matto. Ultimamente sta saltando anche parecchi giorni a scuola, perché dice che ha dormito poco e non si sente tanto bene. In pratica in quei casi dorme fino all'una del pomeriggio, poi si alza, non mangia e si mette al computer. Mentre era a scuola abbiamo acceso il suo computer ma c'è la password e non possiamo vedere niente. Non sappiamo veramente cosa fare, dovremo costringerlo a fare qualcosa ma siamo spaventati dalle sue reazioni e temiamo che possano solo aggravare la situazione. Cosa ci consiglia di fare? Grazie mille per i suoi preziosi consigli.

G.N.


>Gentile G.N.

dalla descrizione che mi fa sembra che suo figlio sia affetto dalla quella sindrome recentemente identificata che si chiama abitualmente hikikomori, cioè una forma di isolamento, diversa dalla fobia sociale, che colpisce in particolare in adolescenza. Si tratta di un ritiro dalle relazioni, e nei casi più gravi di un isolamento dal mondo, dove spesso il computer è la sola finestra rimasta aperta. Non vi consiglierei quindi di vietare a vostro figlio il computer, perché quello è piuttosto l’ultimo aggancio rimasto che gli permette di comunicare con l’esterno. Si tende in questi casi in genere a considerare l’isolamento come legato a una sorta di dipendenza dal computer, mentre nell’isolamento dell’hikikomori si tratta di qualcosa di molto diverso dalla dipendenza. Occorre piuttosto capire cosa lo porta a questa forma di ritiro, da cosa il soggetto fugge. Sapete se ha mai subito fenomeni di bullismo? Ha mai manifestato precedentemente sfiducia nelle relazioni con i coetanei o in genere con il prossimo? Ci sono stati momenti, anche in infanzia, in cui è stato aperto alle confidenze? A partire da qui, da qualche isola relazionale rimasta intatta, si può cominciare a ricostruire, ma è un lavoro che può essere fatto sotto la guida di un professionista che vi aiuti a vedere quel che dall’interno della situazione voi ovviamente non avete la possibilità di scorgere.
Un saluto cordiale,

dott. Marco Focchi



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mercoledì 26 aprile 2017

Mia figlia è dislessica

Gentile dott. Mia figlia è  dislessica. La scuola non ci è stata d'aiuto, per far si che fossero riconosciuti i suoi bisogni speciali abbiamo lottato con le unghie e con i denti, mettendo in mezzo pure un avvocato.
Dall'adolescenza come se non bastasse mia figlia ha iniziato a soffrire di malesseri: depressione, ansia e veri e propri attacchi di panico. Stava male e  tutto per insegnanti ignoranti,  che si rifiutavano di fare il loro dovere e consideravano me una madre pretenziosa e pazza, che pretendeva un programma personalizzato per la figlia.
E anche io come madre a dover rispondere colpo su colpo a vere e proprie offese e prese in giro dei professori che vedevano solo disimpegno e incapacità.
Considerata la cretina della classe, insomma. E se questi sono i modi degli adulti le lascio immaginare quelli dei compagni.
Non ho voluto cambiare scuola, non abbiamo voluto cedere. Solo bastoni tra le ruote e incomprensione abbiamo ottenuto.
Ha ottenuto la maturità, alle spalle denunce ai professori e una vera e propria guerra legale
Senza dimenticare le ferite quelle restano. Mi chiedo se sia possibile nel 2017 arrivare a questo a farsi giustizia da soli dall'ignoranza.
Grazie


>Gentile signora,

sono stupito della situazione che lei descrive. In genere, nelle scuole che ho conosciuto, ho sempre trovato molta attenzione ai problemi dei bambini, e in particolare per quanto riguarda la dislessia. In alcune scuole c’era addirittura una verifica di routine su tutte le seconde classi per verificare con dei test la possibilità di problemi legati alla dislessia. Quel che ho incontrato è stato piuttosto un eccesso di zelo in questa direzione, che portava a volte a sovradiagnostcare situazioni che non risultavano in realtà affatto patologiche. Sorprende dunque che lei si sia dovuta trovare nella situazione di forzare la mano per ottenere un piano personalizzato, che in genere è nell’interesse stesso dei docenti e della classe far avere. Come ha avuto sua figlia la diagnosi di dislessia? È stata presentata a un centro convenzionato? Ha consultato altri pareri di specialisti per verificare questa diagnosi? Che documentazione ha prodotto nella sua battaglia legale? Non vorrei che si trattasse di un equivoco, come a volte succede, o di un malinteso con il corpo docente. Lei sembra convinta della diagnosi di sua figlia, ma a volte gli esperti danno pareri contrastanti sulla base di sfumature molto sottili.

Un cordiale saluto

dott. Marco Focchi


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lunedì 3 aprile 2017

Una infatuazione, un abbaglio che fatico a gestire

Gentile dott. Focchi,
in tanti anni di insegnamento non mi era mai successo. C'è un alunno brillante nel quinto anno della mia classe. intelligente preciso, dalla profondità di ragionamento. Appassionato, curioso, motivato. Ha cominciato a  chiedermi di articoli di approfondimento, testi, abbiamo cominciato a discutere rispetto a tematiche affrontate in classe sempre con piacere. Uno di quei ragazzi che con facilità seguono la lezione e sono da faro anche per gli altri come modo di porsi, di argomentare, di portare un'opinione diversa. È imbarazzante ma quello che per me c'è stato sempre nel nostro tempo passato insieme è stato sempre l'orgoglio di un insegnante per un alunno, la simpatia, stima, rispetto, lo sguardo bonario di un padre per quello che potrebbe essere un figlio. Ho scoperto che lui dentro ai nostri scambi ha trovato qualcosa di più e di diverso. Una infatuazione, un abbaglio che fatico a gestire. Mi trovo a chiedermi se non ho indotto io certi pensieri o desideri. Perché provo questo imbarazzo, c'è forse una dimensione perversa anche in me che mi trovo a pensare spesso a lui che mi gratifica con il suo desiderio nei miei confronti?

Grazie

V.


>Gentile V.

mi parla di un alunno del quinto anno della sua classe, suppongo dunque che si tratti di un ragazzo diciottenne, un’età in cui può emergere il quesito intorno al proprio orientamento sessuale, e l’influenza di un insegnante che ha un forte ascendente su di lui può essere un detonatore del processo.  Ma mi pare però che per lei l’interrogativo si ponga in particolare per quel che riguarda la sua parte: si domanda cioè se non possa essere stata una sua propensione a innescare nel ragazzo qualcosa al di là della relazione insegnante-allievo. Che lei si possa sentire gratificato dall’attenzione del ragazzo nei suoi confronti non stupisce, ma lei si riferisce a quella a che chiama una "dimensione perversa". Forse è per lei che il rapporto con il ragazzo ha fatto da rivelatore di aspetti della sua personalità a le i precedentemente sconosciuti? L’aspetto positivo è che lei non disconosce questi aspetti e si interroga su di essi. Ovviamente non posso rispondere io a questo suo dubbio, non avendo, dalla sua lettera, gli elementi necessari, ma quel che posso dire è che se il dubbio le è sorto è bene che lei approfondisca e conosca meglio la situazione che sta traversando. Può essere un turbamento di passaggio o una nuova fase della sua vita, ma per saperlo la cosa migliore è consultare un professionista. Mi contatti pure se lo desidera.
Un cordiale saluto,

dott. Marco Focchi  



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martedì 21 marzo 2017

Un uomo che non c'è mai stato per me e per mio figlio

Gentile dottore, premetto che sono separata da cinque anni da un uomo che non c'è mai stato per me è per mio figlio. Andrea adesso ha undici anni, è un ragazzino sereno con la testa sulle spalle e nonostante i trascorsi decisamente burrascosi.  Scrivo perché mi chiedo se non ci sia un limite all'ingerenza della scuola nella sfera intima delle famiglie. Se sono la sola che si trova in questa situazione. Mi chiedo cosa possano saperne le insegnanti di quello che abbiamo vissuto e come possa essere loro concesso di mettersi in mezzo a questioni private. non vedo perché la scuola mi debba obbligare a condividere con mio ex marito il scelte relative all'apprendimento,alle gite, alle attività extra scuola quando dall'altra parte c'è l'indifferenza glaciale, la totale noncuranza e il disinteresse da sempre. Perché poi dovrei sentirmi in dovere di condividere tutto questo con colui che mi arreca da tempo solo sofferenza. Grazie

C.


>Gentile signora,

non so quale sia il suo regime di separazione con il suo ex marito, ma di fatto la scuola non può prendersi la responsabilità di iniziative avendo il consenso di uno solo dei due genitori, soprattutto in un caso come il vostro, dove manca la comunicazione e dove è difficile valutare che le scelte siano condivise. È lo stesso problema che si presenta nelle psicoterapie con i minori: occorre il consenso di entrambi i genitori. Il suggerimento che posso darle, se è un discorso che può affrontare con il suo ex marito, è di ottenere da lui un consenso a priori e  generico, ma scritto, sulle scelte relative alla scuola.
Un saluto,

dr. Marco Focchi

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lunedì 20 marzo 2017

Ci chiede della morte

Gentile dottore,
mia figlia Adele ha cinque anni. È una bambina serena, partecipa a tante attività,  le piace la piscina, il canto, le piace parlare con tutti. attacca bottone con chiunque anche con le altre mamme se le figlie non la considerano quanto vorrebbe. È un po' particolare, delle volte è un po' più riservata. Non direi timida perché appunto partecipa con piacere, in questi giorni alla fiera andava dritta verso i giochi con le amichette dimenticandosi quasi di noi. A scuola le danno fastidio i rumori forti si mette proprio le mani sulle orecchie e manifesta fastidio. Non so se è perché effettivamente ci sia molta confusione essendo una classe numerosa e venendo i bimbi lasciati tutti insieme nella pausa. Oppure se non sia qualcosa di particolare. le scrivo perché spesso mia figlia fa domande strane per una bimba della sua età.  Ci chiede della morte. Dove andremo quando saremo morti. Cose del genere. Le ho spiegato che andremo in cielo. Lei mi chiede- ma quale stella saremo? - e quali sono le stelle dei nonni? E io francamente non so più come spiegarle, mi turba questo suo insistente interesse. Parlando con le insegnanti e con le altre mamme tutti mi dicono che ha una sorta di fissazione che non capita alle altre bambine della sua età. la psicologa della scuola ci ha detto che Adele si è spaventata per via dell'infarto di sua zia, mia sorella e che è opportuno tenerla lontana dal reparto, così che si tranquillizzi un po'. Così abbiamo fatto con mio marito ma le sue domande continuano, sul dolore , sulle cure. Credo tema proprio per la nostra morte. Come dovremmo comportarci secondo lei? Dovremmo rivolgerci ad uno specialista? Grazie

V. A.


>Gentile V.A.,

le domande sulla morte da parte di un bambino di cinque anni non sono affatto insolite o anormali. I bambini pensano, o si preoccupano della morte. Non continuamente certo, ma c’è un momento in cui si rendono conto di cosa significa e tentano di darle un posto. Non so dirle se per sua figlia questo pensiero abbia varcato la soglia oltre la quale siamo al di là del normale modo di occuparsene dei bimbi di quell’età, perché per saperlo dovrei vederla. Se però è, come mi dice, una bimba serena, alla quale piace giocare, che ha contatto con i coetanei, direi che prima di tutto occorre parlarle a aiutarla a far ordine su questo problema che la occupa.
Ovviamente, quel che pensiamo sulla morte dipende molto dalla nostra posizione in rapporto alla religione. Per un genitore credente in genere è più facile affrontare questo tema, perché la morte, nella prospettiva di un credente è vista in chiave consolatoria, con un rimando a un’altra vita. Dire a un bambino che andremo in cielo significa dunque trasmettergli le nostre credenze sulla vita dopo la morte. Per un genitore non credente il discorso può essere più difficile, perché non ha racconti consolatori da trasmettere, e forse tutti noi, credenti e non credenti, nel discorso sulla morte facciamo passare la nostra angoscia di fondo su questo tema, perché è il mistero più profondo, e sia la posizione del credente sia quella del non credente sono traversate dal dubbio. Il consiglio che io dò è di parlare ai bambini schiettamente a partire da quelle che sono le nostre convinzioni. Senza imporle come precetti, ma semplicemente dicendo come noi abbiamo affrontato il problema della morte, e rispondendo senza remore alle loro domande, perché sono perfettamente in grado di capire quel che chiedono, e non si lasciano ingannare da risposte elusive. Poter condividere queste riflessioni con un genitore con il quale si ha un rapporto di fiducia è il modo migliore per costruire dentro di sé la forza con cui affrontare gli aspetti meno risolvibili della vita.

Un saluto cordiale

dr. Marco Focchi


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mercoledì 8 marzo 2017

Ci sono 18 ripetenti e 7 nuovi alunni

Ho mio figlio che ha problemi con la scuola, nella sua classe 1 superiore ci sono 18ripetenti e 7nuovi alunni tra i bocciati ci sono dei ragazzi che non hanno rispetto di niente e nessuno di conseguenza se la prendono con mio figlio e altri  . Il vice preside mi dice che non può fare niente è vera questa cosa ???

R.


>Gentile R.,

il problema del bullismo nelle scuole è molto diffuso e purtroppo in crescita. C’è una grande sensibilizzazione in questa fase, e il dibattito su questo tocca vari aspetti. Il più importante è l’educazione. Non si può sconfiggere il bullismo solo con misure repressive isolate. Occorre avviare una politica di sensibilizzazione che parte dalle famiglie e tocca i ragazzi. La scuola e la famiglia possono fare molto, ma non da sole. È necessario avviare una politica in questo senso che si faccia carico del problema, e coordini azioni preventive, che siano in grado di creare situazioni relazionali in cui il bullismo non trova terreno per crescere. Credo che lei, come genitore, e gli insegnanti della scuola di suo figlio, possiate muovervi in questo senso, impegnandovi per sensibilizzare l’opinione pubblica, e soprattutto dei genitori e degli insegnati della scuola di suo figlio. Non è la via più facile, né la più breve, ma è sicuramente quella che paga.

Un saluto cordiale

dott. Marco Focchi

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lunedì 6 marzo 2017

Parte e va a dare un pugno al fratello

Sono preoccupato per mio figlio. Fa continui capricci, vere e proprie scenate isteriche delle quali francamente mi vergogno e fatico a tollerare. Mia moglie è molto più paziente di me, spiega, cerca di capire. Io tante volte mi innervosisco e faccio la parte del "cattivo". Mi dispiace vederlo che mi guarda di traverso con gli occhi gonfi di lacrime, non vorrei trovarmi a questo mi sento poi dispiaciuto ma non so come fare altrimenti. Leonardo ha 5 anni. Non solo ha questi "no" continui qualsiasi cosa gli si proponga, ma diventa talvolta "aggressivo". Capita a scuola con i compagni più grandi di lui. Capita a casa con il fratellino di undici mesi. Anche mentre sono con lui, dedicandogli quindi tutta l'attenzione del caso, parte e va a dare un pugno al fratello.  Immagino che possa esserci una quota di gelosia ma facciamo il possibile per dedicare ad entrambi tutta l'attenzione. Non capisco da dove origini tutta questa rabbia e non so francamente come sia meglio comportarsi. Temo che questo suo atteggiamento possa creare grane con i compagni a scuola, temo che da qualche spinta possa passare ad altro e che questo giochi contro il futuro che vorrei per mio figlio. La ringrazio se potrà darci qualche indicazione o spunto su cui riflettere

P. V.


>Gentile signore,
La prima domanda che mi viene da porle è: da quanto tempo si manifesta l'aggressività che mi descrive? È sempre stata un tratto del carattere del bambino o è insorta in un dato momento? Mi dice infatti che Leonardo ha un fratellino di 11 anni e che manifesta anche con lui questo comportamento. Nella prospettiva abituale, quando si considerano le problematiche di un bambino, vengono attentamente soppesate le relazioni genitoriali, ma non sempre si dedica la stessa attenzione a eventuali fratelli o sorelle presenti nella famiglia. La relazione con il fratello, nel caso di Leonardo può essere di grande importanza. Un bambino che fino all'età di quattro anni è il polo esclusivo degli affetti dei genitori, e si sente poi spodestato dalla presenza di un nuovo arrivato, può reagire in molti modi, ma la reazione primaria è di angoscia e di gelosia. Da questi sentimenti negativi un bambino a volte si difende con l'aggressività, e questo potrebbe essere uno dei motivi del comportamento di Leonardo. Un'aggressività inizialmente rivolta al fratellino si maschera generalizzandosi, dando luogo alla situazione che mi descrive. Il suggerimento che posso darle è quindi di considerare questo aspetto è di valutare come è stato presentato a Leonardo l'arrivo in famiglia del fratellino.

Un saluto,
dr Marco Focchi


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venerdì 3 marzo 2017

Refrattario alla scuola

Gentile dottore,
nostro figlio Luca, di 13 anni, è refrattario alla scuola. È sempre stato così, non è una novità, ma speravamo che negli anni gli sarebbe passata questa cosa.. Praticamente tirarlo giù dal letto la mattina è un'impresa, e spesso si arriva in ritardo a scuola perché in qualche modo riesce sempre a perdere tempo. Quando era piccolo piangeva o faceva finta di essere malato. Ora è lui stesso a dire che non gli interessa, che è una perdita di tempo, che se stesse a casa a navigare su internet imparerebbe molte più cose (ma mi sa che questa è solo una scusa). Idem per quanto riguarda i compiti, i pomeriggi sono un'agonia nel tentativo di farglieli fare, gli diciamo sempre fai prima i compiti e poi fai quello che vuoi,.  ma spesso si avvicina la sera e deve ancora iniziare. Abbiamo provato a metterlo in punizione, a toglierli il computer, ma l'unico effetto è che si chiude immobile sul divano o sul letto, e di certo non si mette a studiare. Ora la cosa ci preoccupa molto, perché considerati i molti anni di istruzione che dovrebbe avere ancora davanti, con questo atteggiamento non riuscirà ad andare avanti ancora per molto. Noi siamo entrambi laureati e l'idea di avere un figlio che finite le medie non voglia più studiare è qualcosa che non riusciamo nemmeno ad immaginare. Come possiamo fargli capire l'utilità ma anche la bellezza del conoscere? Mi sembra impossibile che in lui non ci sia il minimo stimolo. Ha dei suggerimenti, dei comportamenti da mettere in pratica per fargli cambiare atteggiamento?
Grazie mille e un cordiale saluto,

S. T.


>Gentile signora,

si possono adottare molti comportamenti possibili. Innanzi tutto in cosa siete laureati? Si tratta di materie con argomenti che potrebbero essere condivisi con vostro figlio? Questo sarebbe il punto di partenza migliore: farlo partecipare di quel che piace a voi. Se si tratta di questioni troppo tecniche, per appassionarlo alla cultura e alla conoscenza si possono condividere momenti di visita ai musei della città: un ragazzino di tredici anni ha già l’età per poterlo fare in modo attivo. A volte trovo nei musei giovani coppie con figli molto piccoli, di cinque o sei anni, che discutono con loro davanti a un quadro, facendogliene vedere dei particolari o raccontandogli le storie che rappresenta. Il bambino partecipa per stare con i genitori, per avere la loro vicinanza, per godere del loro affetto, ma un po’ alla volta si innamora delle cose che anche loro amano, e diventa  poi autonomo nel cercarle e nel coltivarle. Occorre costruire man mano questa consuetudine con le diverse dimensioni del pensiero, con elasticità, senza forzare la mano se il ragazzino si annoia, ma essendo presenti e accompagnandolo nel entrare in contatto con quel che mostra di apprezzare.
In un certo senso, non si spiega “l’utilità e la bellezza del conoscere” come lei giustamente si esprime, ma lo si fa partecipare fino a che non si sprigioni la scintilla  che lo porterà ad amare e a cercare autonomamente la cultura.
Le cose della scuola vanno portate fuori dalla scuola, per mostrare che non sono solo fatica di imparare in modo burocratico, e perché queste cose si aprano e si connettano con la vita, con le relazioni importanti, che per il momento siete principalmente voi. Avete ancora tempo prima che l’adolescenza lo porti in sfere diverse della vita, ma un tempo da non perdere.

Un saluto

dr. Marco Focchi

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lunedì 27 febbraio 2017

Il dilagante bullismo nelle classi

Gentile dottore,

sono un insegnante di scuola media da pochi anni, finalmente dopo una lunga odissea di precariato. Inutile ricordare quanto poco sia valorizzato un mestiere così complesso che implica una responsabilità delicata come quella di educare le giovani generazioni.  Mi piace molto il mio lavoro e mi interrogo spesso sulle modalità indicate a trasmettere passione ai ragazzi per la conoscenza, a promuovere in loro un senso critico che li renda curiosi ma anche riflessivi e attenti. Credo che sia molto importante prestare orecchio alle loro domande, seguire le loro intuizioni quand'anche gli errori per trovare un modo diretto per rapportarsi con loro senza barricarsi dietro la cattedra. Stare in mezzo a loro, ascolt arli pur non comprendendo spesso certe questioni. Tra queste ciò che più mi turba che fatico a gestire è l’aggressività. Le prese in giro le canzonature sono sempre esistite e sempre esisteranno, ma c'è qualcosa di più grande e grave che trovo pericoloso e mi allarma. Sono soddisfatto del rapporto che ho con i miei ragazzi, non ho riscontrato ancora problemi specifici, mi sento comunque chiamato a fare qualcosa per il dilagante bullismo nelle classi. Anche i resoconti dei miei colleghi e colleghe sono veramente terribili, ragazzi senza scrupoli che umiliano i loro coetanei, come nel fatto di cronaca in cui un ragazzo veniva costretto a mangiare dei panini contenenti escrementi. Come si possono raggiungere questi livelli di odio e indifferenza?  Cosa possiamo fare noi insegnanti per trasmettere il valore del rispetto dell'umanità, la positività delle relazioni? E soprattutto, sarebbe sufficiente? Grazie molte

S.B.


>Gentile S.B,

trovo toccante la sua domanda finale: sarebbe sufficiente? È una domanda che denuncia tutto il senso di impotenza vissuto in queste situazioni, quando si cerca di affrontarle per cambiarle. In realtà, nulla è sufficiente, nessun intervento, se pensato da solo, può bastare per contenere un fenomeno di cui abbiamo visto in modo impressionante la crescita. Se ciascuno si pensa da solo nel combattere la violenza e il bullismo parte con un senso di sconfitta e di frustrazione che lo zavorra. Dobbiamo tuttavia pensare che nessuno è solo in questo compito: ciascuno affronta un aspetto. È in via di approvazione una legge sul cyberbullismo che permetterà all’adolescente che si sente preso di mira di rivolgersi direttamente alle autorità per avere tutela, senza neppure passare per la mediazione dell’adulto. Il quadro normativo della legge è importante, ma anche questo cadrebbe nel vuoto se non ci fosse un esercito di educatori capaci di preparare il terreno perché non sia necessaria la costrizione legislativa per evitare la violenza. L’educazione è il fattore primario, e in questo compito tutti siamo in prima linea: insegnanti, psicologi, politici e legislatori. Ho spesso discusso nei dibattiti pubblici questi problemi, e più volte mi è capitato di sentire testimonianze di insegnanti che avevano messo a punto strategie comunicative adeguate, fin dalle prime classi elementari, per prevenire, prima ancora che arginare, i fenomeni di violenza. Occorre che ci sia una legge alla quale non debba essere necessario ricorrere, e l’educazione e la formazione sono il terreno preparatorio perché questo sia possibile.

dott. Marco Focchi


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lunedì 6 febbraio 2017

Solitudini Digitali

Sintesi degli argomenti presentati alla tavola rotonda tenutasi a Novara il 3 febbraio 2017​ dal titolo: Solitudini digitali, organizzata dall'associazione Benvenuti in Italia.

Internet è diventato oggi decisivo per ogni settore della nostra vita, e questo investe evidentemente anche la psicoanalisi. Il rapporto tra psicoanalisi e Internet è indubbiamente diventato importante, e può essere considerato a partire dal punto di vista di quel che la psicoanalisi può dire sull'oggetto tecnico. Sembrerebbe esserci una spaccatura tra la prospettiva psicoanalitica, che nelle sue operazioni utilizza fondamentalmente la parola, e l'oggetto tecnico, che fa parte di una cultura diversa, di tipo, ingegneristico, che in un certo senso è opposta, antitetica a quel che consideriamo come l’elemento soggettivo, o semplicemente come il fattore umano.

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