lunedì 24 giugno 2019

In crisi perché dovrà cambiare compagni

Buongiorno Dott. Focchi,
sono la mamma di G.; quest’anno ha finito la quinta elementare ed è molto in crisi perché dovrà cambiare probabilmente compagni e ovviamente sente la nostalgia del vecchio istituto scolastico e paura per ciò che l'aspetterà.
Cerco di consolarla ma è sempre difficile. È legata particolarmente a due sue amiche e non sa ancora se le ritroverà alle medie.
Io sto cercando di rassicurarla sul fatto che le amicizie continueranno anche se non fossero nella stessa classe.

Credo siano sentimenti normali per una bimba di 10 anni, ma è da una settimana che la vedo sempre abbacchiata e giù di morale.
Ho pensato di organizzare con le mamme delle altre due amiche di G. dei pomeriggi insieme per mantenere attivo il legame e farle vedere che non è cambiato nulla, che si possono continuare a vedere.
Ma ho paura che magari il sentimento di nostalgia potrebbe crescere.

Lei cosa mi consiglia, crede che sia una buona idea?

Altrimenti cosa potrei fare?

La ringrazio molto dell’aiuto.
Le faccio i complimenti per il blog, è molto utile per noi genitori..

A.


>Gentile A.,

alcuni bambini sono curiosi, si spingono avanti, cercano la novità, e il passaggio di grado della scuola li elettrizza per quel che troveranno di non ancora conosciuto. Altri, come evidentemente G., sono più conservatori, e temono in ogni età di perdere quel che avevano faticosamente acquisito. Di quest’ultima tipologia fanno parte i bambini che non hanno potuto costituire una base sicura, e che quindi temono di allontanarsi da dove sono perché non si sentono certi di poter tornare a un appoggio solido. Le ragioni di questo sono remote, e risalgono alle prime esperienze di vita, il cui retaggio è in genere un carattere un po’ ansioso.
Per quanto riguarda G. non le suggerirei di insistere sula continuità, anche perché è verosimile che, a quell’età, le amiche che si dividono in scuole diverse possano fare altri incontri e creare nuovi legami. Le suggerirei piuttosto di rassicurarla su quel che troverà, di farle sentire che esiste, soprattutto alla sua età, un potenzialità per creare nuovi legami, e quindi che avrà nuove amiche, anche se non è detto che debba perdere quelle che ha già. Non è dicendole che non è cambiato nulla che può affrontare la situazione, perché in realtà qualcosa è cambiato, e cambierà anche di più. È piuttosto dandole i mezzi e l’appoggio per affrontare questi cambiamenti, dato che la vita è fatta di variazioni, soprattutto quella contemporanea, ed è meglio prepararsi a questo presto.
Un saluto cordiale

Marco Focchi

lunedì 17 giugno 2019

Quando non riesce a finire un esercizio va nel pallone e si blocca

Buongiorno Dott. Focchi,
Sono una ragazza che aiuta i bambini a fare i compiti al doposcuola delle medie.
Mi chiedevo se ci fossero dei modi per aiutare un ragazzo che quando non riesce a finire un esercizio (capita con la matematica) va nel pallone e si blocca, e non fa più nulla fino alla fine del doposcuola.
C’è qualcosa che posso fare oppure posso suggerire ai genitori qualche tipo di percorso?

La ringrazio per l’aiuto.
Le auguro una buona giornata!

Valeria


>Gentile Valeria,

se un ragazzino non riesce a finire un compito, in genere, è perché si distrae, e altri pensieri da quelli di cui deve occuparsi entrano nel suo campo d’attenzione. Si dice allora, di solito, che è un ragazzino  distratto. L’attenzione non è tuttavia una dote naturale che si ha o non si ha. Sono stati fatti precisi studi dagli psicologi dell’Università dell’Indiana, negli Stati Uniti, che mostrano come sin dalla primissima infanzia l’atteggiamento partecipe e focalizzato dell’adulto sia in grado di catalizzare l’attenzione del bambino, e quindi di favorirne lo sviluppo. Con un ragazzino delle medie ovviamente molta acqua è passata sotto i ponti, ma questo non significa non si possa intervenire. Per sollecitare la sua attenzione occorre… dedicargli attenzione, accompagnarlo nella realizzazione dei suoi compiti, mostrare il nostro interesse negli argomenti che sta trattando, e anche il nostro interesse per lui. Il legame con l’adulto è la chiave fondamentale per trovare un contatto con le potenzialità di un bambino. Se si sente nel cono illuminato delle nostre cure risponde positivamente, si responsabilizza. Naturalmente si tratta di entrare nell’ordine di idee che la scuola non è solo trasmissione di informazioni, e che la formazione del carattere è la premessa per la costruzione delle capacità che è necessario acquisire.

Un cordiale saluto

Marco Focchi

giovedì 6 giugno 2019

Ho letto la notizia della ragazza in Olanda

Buongiorno Dott. Focchi,
Sono un insegnante di Filosofia in un liceo di Torino.

Ho letto la notizia di ieri della ragazza che ha praticato l’eutanasia in Olanda e sono sconvolto.
Mi è capitato più volte nella mia vita di incontrare ragazze e ragazzi problematici, ma mai ho potuto immaginare una soluzione tanto drastica.
Vorrei parlarne in classe senza fare moralismi o risultare pesante. Credo che la vita sia un dono speciale.
Le è mai capitato di affrontare un tema tanto delicato soprattutto con ragazzi adolescenti?
Se sì, in che modo l’ha fatto? Altrimenti, dovesse immaginarlo, come lo farebbe?

La ringrazio per il supporto.

D.



>Gentile D.,

Più volte ho incontrato, nella mia vita professionale, situazioni estreme che si affacciavano a un desiderio di morte. Il suicidio è una delle cose più misteriose e difficili da spiegare. Nelle psicosi è affrontato spesso con lucidità fredda. Nelle depressioni nevrotiche giunge all'estremo limite della disperazione. Per l’eutanasia si vorrebbe pensare che si tratta di una decisione razionalmente presa, quando la vita risulta insostenibile. Dubito però che una simile scelta possa essere messa interamente sotto la luce della razionalità. Nel caso della ragazza olandese è successivamente emerso che la notizia circolata attraverso i media di tutto il mondo non risultava corretta, in quanto le autorità hanno negato il consenso all'eutanasia e a quanto pare la ragazza si è lasciata morire cessando di nutrirsi. Approfondimenti sono tuttora in corso da parte delle autorità olandesi. Al di là di questo, di questa storia colpisce la giovane età, l’orizzonte immenso di vita che si chiude, le possibilità e potenzialità perdute. Chiaramente di fronte a queste situazioni il nostro primo impulso è difendere la vita. Una cosa però vorrei osservare. Nel dibattito scaturito dal caso olandese molti hanno asserito di comprendere l’insopportabilità della vita menomata dal dolore fisico, ma considerando che dal dolore morale e psicologico c’è invece sempre una via d’uscita. È una considerazione che può partire da premesse soggettive, e solo misurata su quella che è la propria vita, Nella mia esperienza professionale troppe volte ho visto un dolore psicologico estremo certamente più insopportabile di un dolore fisico. Non dobbiamo mai sottovalutare una situazione di sofferenza perché “solo psicologica”, come se per uscirne bastasse un atto volontario o forza di carattere. Per questo non mi sento di giudicare i medici che si sono trovati di fronte al caso di Noa, senza conoscere a fondo e di prima mano la situazione. La difesa della vita è nobile e tutti vi aderiamo, ma conosciamo la vita di chi è disperato al punto di non poterla più sopportare?

Marco Focchi

mercoledì 5 giugno 2019

Ostinatamente, vuole seguire le orme del padre

Buongiorno Dott. Focchi,
Sono la mamma di un ragazzo che fa quest’anno l’esame di maturità allo scientifico.

Mio figlio ha una sola materia in cui non è per niente brillante: matematica.
Lo so quello che sta pensando, magari non doveva scegliere lo scientifico, ma credo che questo percorso abbia un valore emotivo importante per mio figlio.
Mio marito (ingegnere) spingeva sempre nostro figlio verso le materie scientifiche ed è forse per questo che M., mio figlio, ha scelto questa scuola.
Il problema è che mio marito purtroppo due anni fa è mancato, e adesso mio figlio, quasi ostinatamente, vuole seguire le orme del padre.
Forse ha paura che allontanarsi dall'ingegneria in qualche modo lo allontani dal papà.
Ho provato a parlargliene ma lui si trincera e dice che vuole farcela.
Ho paura che stia facendo una scelta sbagliata dettata da un malessere del cuore che non potrà essere curato facendo scelte (evidentemente) sbagliate per sopperire ad una mancanza emotiva che lo studio e la carriera non potranno mai riempire.
Come posso toccare questo argomento con lui in modo tale da fargli capire che per il suo bene deve prendere in considerazione altre vie per l’università?

Mi aiuti.
Grazie mille.
C. 


>Gentile C.,

Il problema che pone è molto delicato: si tratta del conflitto tra l’idea, la sua, che suo figlio dovrebbe seguire un corso di studi più adeguato alle sue capacità e l’idea di suo figlio di seguire le orme del padre. La sua idea è chiara è ragionevole. Quella di suo figlio affonda le radici in motivazioni inconsce che non abbiamo in questa sede elementi per sondare. Alla luce di un medio buon senso dovremmo dire che l’idea razionale ha tutti i migliori motivi per prevalere. Ma è proprio così? Siamo in grado di calcolare le conseguenze di una scelta che romperebbe un equilibrio psicologico costruito da suo figlio e che compensa situazioni in cui non possiamo, allo stato attuale, vedere chiaramente? Ci sono diversi fattori in gioco. Il primo è: la difficoltà con la matematica per suo figlio è davvero seria, non rimediabile? Un aiuto non potrebbe portarlo fuori dalle secche? Il secondo è: quanto è radicata in suo figlio la decisione di seguire le orme paterne? Per trovare un giusto orientamento in questa situazione ci sono elementi che non possono essere allineati semplicemente sul piano della razionalità, e forse l’aiuto di uno specialista in grado di fare una lettura più profonda delle motivazioni inconsce sarebbe la cosa migliore.
Un cordiale saluto

Dott. Marco Focchi