Nei bambini tra i 6 e i 12 anni il rapporto con i genitori è decisivo. In questa fascia d’età il bambino difficilmente riesce a dare forma consapevole e verbale ai propri disagi, e li manifesta in modo sintomatico. I comportamenti sintomatici peculiari, di chiusura o al contrario apparentemente “capricciosi” che un bambino può manifestare sono spesso un modo di esprimere una domanda che va ascoltata.
Considerazione sul panorama attuale
Senza necessariamente generalizzare, ritengo utile sottolineare un aspetto che coinvolge pratiche adottate in massima parte anche dal servizio pubblico.
Le categorie diagnostiche oggi indicate nei manuali di psichiatria corrispondono prevalentemente a procedure burocratiche. Se vogliamo quindi definire il ritardo mentale, per esempio, in un bambino, gli facciamo dei test, e i test implicano un’interazione: si fanno delle domande a cui si può rispondere dando il senso dell'intensità e della qualità, ma questa qualità e questa intensità diventano poi una crocetta in una casella. Questa crocetta entra in una sorta di algoritmo e sfugge in qualche modo al nostro controllo. Nei diversi segmenti della procedura che porta alla definizione diagnostica, nessuno, né chi ha formulato i testi né chi leggerà, né chi ne trarrà le conseguenze, esercita più un potere di scelta su questo. Si fa così entrare il bambino in una griglia dalla quale, quasi per automatismo, esce una diagnosi, per esempio ritardo mentale. Quando sulla cartella di un bambino abbiamo scritto "ritardo mentale", il bambino comincerà, in un certo senso, a produrre ritardo mentale, per la logica della profezia che si auto-avvera, perché si comincerà a considerarlo ritardato mentalmente e lui inizierà a comportarsi in modo corrispondente a come viene considerato dalle persone intorno a lui.
Il mio approccio differisce da tutto ciò.
Specificità dell’approccio terapeutico
Attraverso le consulenze psicologiche nella fascia 6-12 anni, si lavora all’interno di un orizzonte in cui, diversamente a come accade in numerosi altri contesti, non si è governati dalle procedure. I soggetti, sia i bambini sia i genitori, sono dei soggetti che fanno delle scelte e in cui le interazioni, le risposte che forniscono non sono semplici caselle, semplici crocette. Si tratta di riappropriarsi della capacità di dialogo intersoggettivo e di liberarsi dalla catena, dal vincolo in cui nessuno più ha in mano le conseguenze di ciò che si produce, offrendo dunque un’esperienza terapeutica in grado di fornire una reale crescita interiore, favorendo l’attraversamento dei sintomi.
Quali sono le problematiche più frequenti
I piccoli pazienti, o i loro genitori che entrano nel mio studio spesso hanno già una diagnosi, magari fornita dal servizio pubblico a cui si sono rivolti su consiglio dell’istituto scolastico. Disturbo da deficit di attenzione con iperattività, ritardo mentale, mutismo, dislessia, discalculia, fino all’autismo. In questi casi arrivano con una “etichetta” ben precisa, che richiede una prima fase di elaborazione.
Nei casi in cui è già presente una diagnosi è infatti importante ricostruire il percorso che ha portato alla sua formulazione e gli effetti da essa prodotti all’interno del sistema famigliare, sia dal punto di vista puramente operativo sia dal punto di vista simbolico. Accade non di rado che nella famiglia si possa restare abbagliati da falsi problemi e un nuovo punto di vista permette invece di aprire le prospettive per affrontare i problemi veri.
Più semplicemente, sono frequenti casi in cui si hanno difficoltà nella gestione della relazione, problemi di ansia che si riversano tra adulto e bambino amplificandosi, stallo decisionale che porta ad arenarsi le più semplici situazioni di vita fino a farle diventare complesse, e mille altri episodi quotidiani che, senza essere patologici, richiedono attenzione e uno sguardo esperto.
Chi richiede la consulenza
La consulenza viene richiesta generalmente dai genitori, che a volte si trovano insoddisfatti dei percorsi istituzionali. Difficilmente è la scuola, più legata alla struttura pubblica. La richiesta può venire da entrambi i genitori in modo concordato, o da uno solo dei due che si è reso più sensibile ai problemi. Nei casi di separazione è importante verificare la disponibilità dell’altro genitore, per non creare conflitti tra adulti che ricadano poi sul bambino.
Chi sono i soggetti coinvolti nella consulenza
La collaborazione dei genitori è indispensabile perché le questioni che emergono possano trovare un contesto in cui si rielaborano. La stessa elaborazione dei problemi da parte dei genitori ha un effetto di ricaduta sul bambino, per cui è talvolta possibile non coinvolgere direttamente il bambino nelle sedute, risolvendo comunque la situazione problematica. Tuttavia accade spesso che sia richiesta anche la presenza del bambino, il quale viene coinvolto nei tempi e nei modi più opportuni sulla base del percorso concordato.
Maggiore è la collaborazione dei famigliari, così come degli insegnanti, migliori saranno le possibilità e i tempi per un miglioramento della situazione, perché può accadere che determinate situazioni si arenino, o rimangano a lungo stagnanti, proprio a causa della mancata collaborazione di uno o di entrambi i genitori.
Quanto dura una consulenza
La consulenza può durare da tre a sei mesi, e solo in casi più complessi può protrarsi per un tempo maggiore, quando entrano in gioco problematiche personali che coinvolgono aspetti più profondi della personalità.